Palladino l'ha capito: le tre lezioni imparate in meno di una settimana dal tecnico viola

Tutto si può dire a Raffaele Palladino, tranne che sia uno di quei tecnici orgogliosi, annodati sulle proprie convinzioni. Nei sette mesi a Firenze si è dimostrato un allenatore più che fallibile, in difficoltà in più di un momento, ma capace comunque di uscire dai momenti bui, anche grazie alla solidità del gruppo creato intorno a sè, cambiando spesso faccia alla sua creatura. "Ho imparato tantissimo in questi mesi" ha ripetuto più di una volta l'ex Monza. Neanche una stagione intera a Firenze che, per vicissitudini varie, è valsa come un master di terzo livello ad Harvard per la sua carriera. E all'interno di un'annata da roller coaster, come l'ha definita Gudmundsson, l'ultima settimana ha rappresentato un corso intensivo.
Gudmundsson > Beltran
Sette giorni con cui ha puntellato la sua panchina anche grazie a tante scelte fatte, alcune più importanti di altre. La prima è in attacco: accanto al venti, ci va il dieci. Lo ha capito ora (o forse solo adesso ha avuto a disposizione una versione di Albert Gudmundsson quantomeno simile a quella vista a Genova), l'islandese fa un altro sport rispetto al volenterosissimo Lucas Beltran. In particolare, rispetto all'argentino, Gud ha una qualità fondamentale per giocare da quelle parti. Non si vergogna di tirare (lo fa quasi sempre bene), lo si è visto con tre stoccate di fila (Napoli, Panathinaikos, Juventus). In quella zona del campo, accanto a Moise Kean, serve un calciatore in grado di alleggerire il numero venti dalla produzione offensiva, qualcuno con mole di tiro più elevate rispetto al Vikingo, che rimane comunque un'utile alternativa a partita in corso.
La luce è Fagioli
Lo ha detto anche lo stesso Gudmundsson in conferenza stampa domenica, l'intesa tra lui e Kean cresce. Ma c'è un altro asse su cui la Fiorentina può costruire le sue fortune. Quello tra il dieci e Nicolò Fagioli. Si cercano e si trovano spesso e sono sulla stessa pagina del manuale del calcio. Qualità al potere. Con gli innesti di Gud e di Fagioli la dimensione dei viola è lievitata. C'entra soprattutto lo spostamento dell'ex Juventus nella sua posizione naturale. Schierato da mezz'ala di costruzione e qualità, Fagioli è per la Fiorentina quello che "la sostanza" (The substance, dal titolo del film) è per Demi Moore, qualcosa in grado di ringiovanire il gioco della Fiorentina, diventata per un pomeriggio, quello di domenica, Margaret Qualley. A questa squadra si chiedeva più possesso, Palladino ha recepito il messaggio ed ecco quindi Fagioli, ma non solo. Accanto a lui Cataldi e Mandragora, un tris di play in grado di congelare per intere porzioni di gara il ritmo.
Abbassarsi, ma fino a un certo punto
E qui arriviamo all'altra lezione registrata e messa in pratica da Raffaele Palladino. Torino, Lazio, Genoa, Verona. Partite con risultati diversi, ma finali simili: Fiorentina rintanata nel forte e assedio medievale degli avversari. Tutto nasce dall'atteggiamento messo in campo dai viola nei minuti finali di gara: spesso a corto di fiato, Ranieri e i suoi tendevano ad abbassarsi, portandosi il nemico in casa. "Ho capito il problema per il quale non dormo la notte: ci manca la continuità nei novanta minuti" ha detto Palladino al termine della gara di ritorno col Panathinaikos. Anche lì, nel finale, c'era stato qualche brivido di troppo. Con la Juventus invece encefalogramma piatto (le coronarie dei tifosi ringraziano). Nessun rischio corso e secondo tempo di gestione: (de)merito di una Juve in versione ectoplasma, ma anche di un centrocampo in grado di congelare il ritmo. Per parafrasare una massima inflazionata, "la miglior difesa è il palleggio": è soprattutto questo che ha capito Palladino in una settimana ricca di insegnamenti che faranno comodo per il resto dell'annata.
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