TRA PARTENZE E RIPARTENZE di Marco Bucciantini
Quando hai finito i sogni devi inventare un argomento per passare l'ultimo mese di campionato. Solitamente, per piacevole abitudine, questo era il mese più saporito della Fiorentina. A maggio c'era il raccolto. Quest'anno saremo spettatori, e potrebbe essere chiaro presto, essendo nostra la domenica più rognosa, a Bergamo, campo assetato.
Così giochiamo al chi parte e al chi arriva, con le varianti del “peccato non è arrivato” e del “questo poteva anche non arrivare”, e “questo” è Felipe o Bolatti, dipende dai giorni. Circolano i nomi dei possibili acquisti, grossomodo un migliaio, e delle drammatiche cessioni. A novembre Jovetic era già razziato dai grandi club europei, adesso Vargas è già del Real Madrid, Frey è del Manchester, Mutu di almeno sei squadre dell'ex Unione sovietica e alla fine poi partirà solo Donadel, che non sa vivere il suo mestiere da precario e nell'andare e venire dal campo rende la metà. Senza contare che Prandelli è della Nazionale, anzi, no, della Juventus, e Della Valle è stufo.
Che gioco noioso.
Poi c'è l'altro gioco, Calciopoli. L'ultima volta che ci abbiamo giocato siamo rimasti fregati. Uso spesso un esempio crudo: la mafia e il pizzo. Noi pagammo il pizzo, ce lo chiesero per continuare a giocare, a lavorare. Noi lo pagammo e per la legge è reato, perché pagando si alimenta l'associazione a delinquere di stampo mafioso. Credo che fummo vittime, e le più penose: costretti a comprometterci per continuare a esistere. Adesso scopriamo l'acqua calda: l'estorsore (Moggi, i designatori, Mazzini) non bussò solo da noi, ma da chiunque avesse bisogno: la Rometta di allora, per esempio. E l'Inter non stette a guardare, e in qualche modo si fece sentire.
Ma il modo conta, e i modi di Facchetti e Moggi erano troppo differenti per assetare della stessa voglia di giustizia.
Quel sistema perverso non poteva salvare nessuno, se non le vittime sacrificali di sempre, le squadre piccole e disinteressate alla vittoria, e aggrappate alle elemosine per sopravvivere. Ma quel sistema lì aveva un ideatore, padre, padrone: Moggi e la Juventus. Loro andavano colpiti e ben più di quanto si fece. Invece le colpe furono ravvicinate. Quello fu il vero scandalo, e non che si salvarono la Roma e l'Inter. Semmai lo scandalo fu che nessuno risarcì il Bologna, retrocesso per buona pace di tutti: ma qualsiasi processo ha questo peccato di fondo: punisce i colpevoli, non risarcisce le vittime.
Infine c'è l'ultimo gioco, quello che continua a piacermi di più, ma che resta così marginale nei discorsi settimanali. Il pallone. Atalanta-Fiorentina, un incontro vero perché vera è la necessità dell'avversario di portarci via i punti. E vera è la nostra necessità di capire fino in fondo questa stagione, chi siamo, su chi puntare. C'è un salto di qualità da fare, dopo tutti quelli assimilati in questi anni: imparare a giocare sempre con l'atteggiamento mentale giusto. Trovare il passo della squadra di rango. Siamo stati capaci di grandi partite, quest'anno, spesso finite con eroiche sconfitte. Ma ci è mancata una dimensione, un incedere, una forza tranquilla che è quella che ti tiene su, sempre e comunque. A questo servono queste cinque partite: non so chi partirà, chi arriverà, chi sarà in panchina, chi in tribuna. Ma so che ripartiremo da dove saremo in grado di finire.