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Da "cattivo" a eroe, cambia solo la prospettiva: la parabola di Mandragora come insegnamento di vita

Da "cattivo" a eroe, cambia solo la prospettiva: la parabola di Mandragora come insegnamento di vita
venerdì 11 aprile 2025, 13:00Copertina
di Alessandro Di Nardo

O muori da eroe o vivi così a lungo da diventare il cattivo. Una citazione ultra-inflazionata da Batman - il Cavaliere Oscuro-. A pronunciarla è Harvey Dent, un tempo brillante e onesto procuratore distrettuale, diventato poi un super-criminale di Gotham. Massima che serve a spiegare al meglio come il tempo corroda tutto, anche i sentimenti e la percezione delle persone accanto a te. Vale anche nel mondo del calcio, avaro di riconoscenza, basta pensare a traiettorie di bandiere o simil-tali diventate poi "il cattivo" (mi viene in mente la storia di Florenzi e Pellegrini a Roma). Può essere però vero anche il contrario di quello che diceva Harvey Dent. E quindi da villain a eroe, ovvero Rolando Mandragora. Intendiamoci, il numero otto in viola, nei suoi tre anni a Firenze non è mai stato "odiato" da tifosi e ambiente; è finito però, più di una volta, sull'altare dei capri espiatori da sacrificare dopo qualche brutta sconfitta, in Europa e in Serie A. Troppo lento, macchinoso. "Dove vuoi che si vada con Mandragora?" - la voce del popolo fiorentino fino a qualche mese fa era questa. Avanti, veloce. Dopo la trasferta di Celje Rolly è l'uomo copertina del momento ed è appena entrato nei libri di storia della Fiorentina.

L'ha detto pure lui stesso, è il momento migliore della sua carriera (allargando il raggio, viste le nozze in programma proprio oggi con Lucia, il momento più bello della sua vita). Chi l'avrebbe mai detto che il metro di paragone utilizzato fino a poco fa per fotografare la "mediocrità" di questa squadra potesse erigersi a uomo-simbolo del nuovo ciclo Palladino, nonché entrare a caratteri cubitali nella storia gigliata come calciatore con più presenze in Europa? Merito di due persone, principalmente. Il primo l'abbiamo appena nominato: Raffaele Palladino è il "nuovo" scopritore di Mandragora. A inizio stagione lo aveva relegato in basso nelle gerarchie del centrocampo, ma tra i due il feeling era scattato subito. Entrambi napoletani, scuola Juventus e con gli stessi principi di calcio, era solo questione di tempo prima che gli astri si allineassero: è successo a inizio 2025, complice quanto accaduto a Edoardo Bove, il conseguente scossone emotivo e tattico alla rosa e il mercato, con la svolta di modulo. Nel 3-5-2 Palladino ha ritagliato un nuovo abito su misura al numero otto: mezzala destra di costruzione e regia sì, ma anche e soprattutto di inserimento senza palla. Due gli highlights per intuire la mutazione fatta da quello che per gran parte di carriera era considerato un roccioso mediano davanti alla difesa: Fiorentina-Juventus, quando si butta a "pesce" su un pallone in verticale ricamato da Fagioli e conclude con tecnica e furbizia, anticipando portiere e difensori, e Celje-Fiorentina, altro inserimento in area da cui scaturisce il rigore (anche qui furbesco). In questo è stato fondamentale Palladino: intuire una nuova dimensione nel suo gioco, non solo più orizzontale, ma soprattutto verticale, da centrocampista d'assalto accanto a due mediani più compassati nelle sortite offensive come Cataldi e Fagioli. 

Il merito va a due singoli, come detto: uno è il "manico" della squadra. L'altro non può che essere il protagonista di tutto, Rolando Mandragora. E se per il primo fattore decisivo è servito un cambiamento (tattico), per l'altro tassello che ha permesso questa rinascita sportiva è stato necessario invece essere coerenti con sé stesso e il proprio percorso. Rolly è uno per cui il titolo "La classe operaia va in paradiso" per descrivere questo momento non andrebbe sprecato: è l'elogio del lavoro, come ha detto uno dei suoi procuratori a Radio FirenzeViola, e della determinazione - qualcuno la chiamerebbe resilienza-, basti pensare che in mezzo a questa stagione da mille scossoni c'è stato anche un intervento al ginocchio (4 ottobre 2024) e un ritorno in campo meno di tre settimane dopo. Perché tutto è cambiato attorno a lui, un calciatore che a giugno scorso sembrava poter essere uno dei primi nella lista da "tabula rasa" dopo la finale di Atene, e che adesso ha mire più che giustificate di Nazionale. Tutto, tranne l'uomo in mezzo al resto del mondo. Il segreto sta qui, perché Mandragora - uno che prima di un importante problema al ginocchio era leader e capitano della Nazionale Under21 più talentuosa degli ultimi quindici anni - non è mai stato un "brocco", né sarà mai il Toni Kroos campano, come qualcuno scherzosamente lo chiama. E perché spesso gli eroi non sono altro che i cattivi guardati da una diversa prospettiva.